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FORTE SAN GIORGIO, SEDE DELL’ISTITUTO IDROGRAFICO DELLA MARINA

Dott. Aldo Caterino

La sede dell’Ufficio Idrografico della Marina venne collocata a forte San Giorgio sin dalla fondazione dell’ente nel 1872 per ragioni di opportunità logistica, in quanto il suddetto edificio ospitava già l’Ufficio scientifico dipartimentale di Genova (1865) ed era dotato di un Osservatorio astronomico ben collocato e attrezzato per poter svolgere i compiti del nuovo Servizio idrografico nazionale.

La storia di forte San Giorgio, e del bastione su cui poggia, s’intreccia con le complicate vicende politiche della città. Il bastione fa parte della sesta cinta, quella cinquecentesca, lunga complessivamente 9,615 chilometri, di cui 4,64 verso terra e 4,975 verso il mare, edificata fra il 1537 e il 1547 al costo totale di 17.500 scudi d’oro. Nelle immagini storiche, la muraglia appare bassa e piatta, con andamento segmentato ad angolo acuto, difesa ai vertici da torrioni: questo per eliminare i punti morti e le zone cieche e offrire una più ampia visuale di tiro ai difensori.

La cinta comprendeva 19 bastioni con interposte 25 guardiole e ricalcava in buona parte il percorso trecentesco: a ovest partiva da Porta San Tomaso, in zona Principe, abbattuta nel 1842 per consentire l’apertura della litoranea via Carlo Alberto. A nord della suddetta porta s’innalzava il baluardo di San Michele, dalle linee possenti e armoniose, protetto ai fianchi da vistosi orecchioni, demolito alla metà dell’Ottocento per fare posto alla stazione ferroviaria di Piazza Principe, inaugurata nel 1854. Una robusta cortina rettilinea lo collegava al bastione di San Giorgio, sul rilievo di Oregina, dal quale le mura scendevano verso est nel fossato di Sant’Ugo, per risalire poi lungo la dorsale di Montegalletto, culminando nell’omonimo baluardo sul quale, nel 1886, fu costruito il Castello d’Albertis.

Quello di San Giorgio era un bastione possente, situato a 111 metri di quota su una pendice del monte Peralto. Era costruito su un’alta scarpa scoscesa dal saliente smussato a N, con un ampio orecchione a W, seguito da una breve cortina di raccordo con la congiungente verso San Michele, e un vistoso musone sul lato sud-orientale, raccordato mediante un breve tratto rettilineo alla cortina verso Montegalletto. I fianchi misuravano in altezza, dal saliente all’apice dell’orecchione, circa 65 metri e, dal saliente al musone, circa 62 metri. L’altezza del parapetto era di circa 26 metri al musone e di oltre 25 metri all’orecchione, mentre l’altezza media sul versante ovest era di circa 23 metri.

Con l’arrivo dei piemontesi nel 1815, la cinta interna suscitò un rinnovato interesse, perché poteva essere utilizzata sia come difesa estrema in caso di superamento di quella esterna (la settima e ultima, costruita nel Seicento) da parte di un eventuale nemico, che così avrebbe dovuto superare una doppia cortina, sia (soprattutto) per tenere sotto controllo possibili movimenti sediziosi da parte della popolazione cittadina, che mal sopportava il giogo sabaudo, considerato oppressivo e retrogrado, insensibile alle istanze di libertà e indipendenza diffuse dalla Rivoluzione francese.

Il bastione di San Giorgio, in questo senso, rivestiva una particolare importanza per la sua posizione dominante sulla metà occidentale del porto, sui due arsenali, sull’ospedale e sulle caserme adiacenti, costituendo un insediamento militare di alto valore, collegato con i sovrastanti forti Begato e Sperone e quindi suscettibile di essere ulteriormente rinforzato in caso di necessità. Tali circostanze indussero il governo piemontese a deliberare la costruzione di un forte sul bastione.

Progettato dal Genio Militare sardo, il nuovo complesso fortificato venne edificato tra il 1818 e il 1828. Il contributo piemontese si rivelò fondamentale: insieme alla pietra locale, infatti, vennero impiegati anche dei mattoni, tipici dell’edilizia padana, il che rese possibile la realizzazione di una struttura dinamica costituita da vasti spazi, connessi fra loro da gallerie, passaggi e larghe rampe (per uno spostamento rapido delle truppe e dei rifornimenti in senso verticale od orizzontale), lungo le quali si aprivano improvvisi ballatoi, disimpegni e passaggi, che consentivano un perfetto collegamento tra i vari reparti organizzativi.

Il complesso, dalla classica planimetria trapezoidale, si sviluppava su quattro piani, collegati da una rampa interna per il traino delle artiglierie e il trasporto delle munizioni e della polvere da sparo sugli spalti con l’ausilio di muli, ed era accessibile attraverso un ampio portale ad arco aperto nella parte di cortina muraria discendente verso Montegalletto.

Dotato di ampi alloggi per ufficiali (camere) e relative cucina e latrina, cameroni e servizi per la truppa, depositi, magazzini e due piazze d’armi interne, una inferiore e l’altra superiore, fu collegato in seguito, tramite una galleria, con la caserma della Neve. Alto 85 metri, dominava il nucleo urbano e il porto e, per accedervi, occorreva superare un ponte levatoio che scavalcava il fossato esterno, per cui era considerato molto sicuro contro eventuali attacchi provenienti dalla città.

Nei giorni successivi alla firma dell’armistizio di Vignale (Novara) il 25 marzo 1849, fra re Vittorio Emanuele II, appena subentrato al padre Carlo Alberto, e il generale austriaco Josef Radetzky, in rappresentanza della corte di Vienna, che pose fine alla prima guerra d’indipendenza, nel capoluogo ligure il malcontento popolare, la sfiducia verso la monarchia e il comportamento altezzoso di alcuni ufficiali sardi, uniti al rimpianto per la perduta indipendenza e al timore di passare nuovamente sotto il dominio asburgico, sfociarono in una serie di tumulti, che portarono alla temporanea restaurazione in Genova di un governo autonomo. Il popolo in rivolta, innalzando una bandiera su cui era scritto “Genovesi, a San Giorgio”, occupò forte San Giorgio e ne iniziò lo smantellamento, riservando la medesima sorte al forte di Castelletto, considerato ancora di più un simbolo di oppressione.

Soffocata nel sangue la ribellione da parte dei bersaglieri del generale Lamarmora, la civica amministrazione dispose lo sgombero delle macerie del forte per mano dei propri operai, i quali, però, approfittando dell’occasione, smantellarono la costruzione più del dovuto, asportando tutto ciò che potesse tornare loro utile, come cancellate in ferro, telai delle finestre, porte in legno, pietre da taglio, ecc. I detriti, invece, vennero lasciati sul posto, creando non pochi problemi ai possessori di appezzamenti sotto i bastioni, coltivati a vigna, frutteto e seminativo o lasciati a gerbido, perché la continua caduta di calcinacci e pietre rovinava le piante e inaridiva il suolo. Il saccheggio proseguì ancora per qualche tempo, privando nel contempo la guarnigione della città sia di depositi per armi e munizioni, sia di luoghi di casermaggio per le truppe.

Nel giro di pochi anni, comunque, placatisi gli animi e ascesa al potere una generazione di politici di idee più liberali, il ministero di Guerra e Marina, attraverso i competenti uffici tecnici della piazza di Genova, si propose il risanamento e il riutilizzo del forte, che risultava mezzo diroccato per la parte sopraelevata, ma ancora intatto per quelle interne ai rilevati sui due versanti.

Il 23 giugno 1858, il Consiglio del Genio Militare, presieduto dal generale Agostino Chiodo, approvò il progetto relativo alla costruzione di un Osservatorio astronomico collegato alla sottostante Scuola di Marina nel saliente del forte distrutto, in modo che fosse il più stabile possibile e sopraelevato rispetto alla Scuola di quel tanto necessario per garantire una visuale ottimale. Il nuovo progetto, datato 17 settembre 1858, prevedeva una spesa di 57.000 lire, comprensive dello spianamento del terrapieno del forte per ricavarvi un’opportuna strada d’accesso.

All’erigendo nuovo osservatorio fu immediatamente assegnato, con funzioni di “direttore provvisorio”, il tenente di vascello Simone Pacoret de Saint-Bon, particolarmente versato negli studi scientifici, già responsabile dell’Osservatorio astronomico presso la Scuola di Marina, il quale auspicava che vi si potessero svolgere anche attività di ricerca in campo astronomico e meteorologico, anziché di mera conservazione e distribuzione dell’ora alle navi della Regia Marina.

Fu così che, nel 1859, in concomitanza con gli eventi della seconda guerra d’indipendenza, la Direzione di Genova del Genio Militare venne chiamata a redigere un nuovo progetto, comprensivo di sale per osservazioni meteorologiche, alloggi per il direttore e il custode, biblioteca e deposito strumenti.

La costruzione andò avanti per due anni e si concluse il 18 settembre 1861, quando i ministri dell’Istruzione Pubblica e della Marina nominarono una commissione per il collaudo e la decisione su quali strumenti occorresse installarvi. Probabilmente è da allora che l’osservatorio figura nella toponomastica locale, dando il nome alla strada che lo congiunge a corso Ugo Bassi - passo dell’Osservatorio - e lo contorna fino a raccordarsi con salita Oregina, nonché alla lunga scalinata che corre adiacente al muraglione verso Sant’Ugo, precedentemente nota come salita della Neve, permettendo un rapido collegamento con la stazione ferroviaria e il porto sottostanti.

Nel corso dei decenni successivi, il complesso venne più volta ampliato e soprattutto innalzato, stante la ridotta superficie del bastione, per installare le nuove officine e i nuovi laboratori necessari per svolgere tutte le attività assegnate all’ente, trasformato da Ufficio in Istituto nel 1899. La mancanza di spazi ha fatto periodicamente balenare la possibilità che l’ente fosse prima o poi trasferito in un’altra location, a Genova o in un’altra città, ma finora non se n’è fatto nulla, per i costi proibitivi che un’operazione del genere avrebbe e le difficoltà logistiche nel reperire un edificio adatto. Tanto più che forte San Giorgio, come sede storica, ha un fascino ineguagliato.

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